Il 21 maggio 2015 l’ISIS dichiarava conquistata la città di Palmira e il suo sito archeologico dando inizio ad uno dei peggiori scempi contro il Patrimonio culturale dell’Umanità della storia recente. La furia iconoclasta della soldataglia del califfato, nel periodo dell’occupazione del sito Patrimonio UNESCO, non risparmiò neanche il museo cittadino e molti dei tesori architettonici compresi nell’area archeologica tra cui il tempio di Bel (simbolo di fusione tra i culti romani e orientali), il tempio di Baalshamin, il tetrapilo e il teatro romano.
Nel novembre 2016, poco tempo prima della riconquista della città ad opera delle milizie del califfato, avvenuta il 10 dicembre 2016, mi trovavo a Palmira. Le strade erano semideserte, la quasi totalità degli abitanti si era rifugiata altrove e la città era stata trasformata in un governatorato militare gestito dall’Esercito Arabo Siriano (SAA). Tutto ciò che non si era riusciti a mettere in salvo era stato depredato. Alcune strutture del sito archeologico erano state distrutte facendo ricorso a cariche esplosive e martelli pneumatici. Sul proscenio del teatro romano erano ancora visibili le chiazze di sangue dei soldati del SAA giustiziati con un colpo alla nuca e decapitati sul posto mentre sul colonnato faceva ancora triste mostra di sé il legaccio al quale venivano appese le teste mozzate. Era come se la barbarie dei secoli scorsi fosse riaffiorata per possedere gli animi di poveri diavoli ignoranti, privi di quel discernimento che consente di rifuggire dalla propaganda delirante.
A due anni di distanza da quel reportage sono ritornato a Palmira per fare il punto sulla situazione dello stato di conservazione del patrimonio culturale, dopo otto anni di guerra.
Oggi, al termine dello sminamento della zona ad opera degli specialisti russi, è di nuovo possibile lavorare con relativa sicurezza all’interno dell’area archeologica pertanto, sotto la supervisione del Direttorato Generale delle antichità e del Museo, si stanno iniziando a pianificare le operazioni di restauro del sito e di ripristino in loco dei manufatti messi al sicuro durante il conflitto.
All’interno del museo cittadino, nella hall di ingresso, è stato posto un cartellone con l’effige di Khaled al-Asaad, il celebre archeologo che ha sacrificato la propria vita per mettere al riparo dalle razzie e dalle devastazioni dei miliziani jihadisti i tesori contenuti nell’edificio.
Per questa sua attività in difesa del patrimonio culturale siriano, il 18 agosto 2015 Asaad è stato martirizzato sulla piazza di fronte al Museo della città e in seguito il suo corpo decapitato è stato esposto al pubblico, appeso a una colonna, con un cartello riportante la scritta “collaborazionista del regime siriano”.
Gran parte delle opere messe al sicuro dal dottor al-Asaad oggi si trovano al museo di Damasco, assieme ai reperti che sono stati strappati alla barbarie dei miliziani del califfato. Un’équipe specializzata di restauratori lavora quotidianamente su queste opere per cancellare le tracce degli sfregi dai volti di statue, oggetti e bassorilievi.
È importante sottolineare che alcuni di questi reperti sono stati restaurati in Italia facendo ricorso alle più moderne tecniche, tra cui l’utilizzo di stampanti 3D; anche il soffitto del Tempio di Bel è stato riparato in Italia e dovrebbe giungere a breve a Damasco.
Dal punto di vista dei jihadisti distruggere patrimonio archeologico della Siria significava soffocare qualsiasi rivendicazione nazionalista, essendo i siti archeologici considerati potenziali minacce in grado di alimentare il sentimento nazionale siriano, in contrapposizione al panislamismo propagandato dall’ISIS. Bisogna tuttavia sottolineare che l’iconoclastia dei jihadisti, in questi anni di devastazioni, è stata piuttosto selettiva, in quanto ha risparmiato tutti i piccoli oggetti facilmente trafugabili e trasportabili.
Gran parte di questi manufatti sono stati immessi nel mercato nero del traffico di opere d’arte e trasportati illegalmente all’estero, soprattutto in Turchia. Le autorità siriane, in collaborazione con l’Interpol, stanno lentamente rientrando in possesso di alcuni di questi oggetti, che una volta recuperati vengono prontamente inviati al museo di Damasco per essere analizzati e catalogati. Imponente è anche il fenomeno della contraffazione dei reperti, che negli ultimi tempi ha immesso nel circuito illegale assieme alle opere trafugate, migliaia di falsi, in molti casi indistinguibili dagli originali, se non attraverso sofisticati metodi di indagine scientifica.
Oggi, con la riapertura del museo di Damasco possiamo dire finalmente superata una lunga fase che ha visto uno dei più importanti Patrimoni dell’Umanità a rischio di distruzione irreparabile. Il sacrificio dell’archeologo al-Asaad è lì a testimoniare che l’eredità culturale, è la pietra angolare sulla quale si regge tutta l’impalcatura delle nostre società e pertanto è un bene supremo che va salvaguardato ad ogni costo, anche a rischio della propria vita.